Dalla morte di Cristo il serpente sibila: “Dio è
morto”, come hanno detto e scritto anche tanti atei, non sapendo di
dire una grande verità, ma incompleta: Dio è sì morto per la nostra
salvezza, ma poi, essendo Dio, è risorto! Leggiamo cosa dice Gesù a Valtorta: Sono infine il “Primogenito” di fra i morti perché
la mia Carne entrò prima nel Cielo, dove entreranno alla
Risurrezione ultima le carni dei santi i cui spiriti attendono nella
Luce la glorificazione del loro io completo, come è giusto che sia
perché santificarono se stessi vincendo la carne e martirizzandola
per portarla a vittoria, come è giusto che sia perché i discepoli
sono simili al Maestro, per amoroso volere del Maestro, e Io,
Maestro vostro, sono entrato nella Gloria con la mia Carne che fu
martirizzata per la gloria di Dio.[1] 3.2 L’ascensione di Cristo al cielo Il Figlio di Dio, dopo essere morto e risorto, deve
tornare al Padre. Ha ancora un compito da svolgere, come scrive S.
Giovanni: Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in
Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se
no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò
andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me,
perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via.
(Gv. 14,1-4) Ci lascia, ma non da soli: Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me
ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore;
ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. (Gv. 16,7) E prima di ascendere Gesù lo ripeterà ancor più
chiaramente, come attesta Valtorta: Sta per venire lo Spirito Santo, il santificatore,
e voi ne sarete ripieni. Fate d’esser puri come tutto quello che
deve avvicinare il Signore. Ero Signore Io pure come esso. Ma avevo
indossata sulla mia Divinità una veste per potere stare fra voi, e
non solo per ammaestrarvi e redimervi con gli organi e il sangue di
essa veste, ma anche per portare il Santo dei Santi fra gli uomini,
senza la sconvenienza che ogni uomo, anche impuro, potesse posare
gli occhi su Colui che temono di mirare i Serafini. Ma lo Spirito Santo verrà senza velo di carne, e
si poserà su voi e scenderà in voi coi suoi sette doni e vi
consiglierà.[1] Non è però ancora giunto il tempo del sospirato
Regno di Dio su questa terra. Vi sono ancora molte battaglie
spirituali da combattere. Gesù spiega infatti agli Apostoli prima di
ascendere al cielo: Non ci sarà più Regno d’Israele. Ma il mio Regno.
Ed esso sarà compiuto quando il Padre ha detto. Non sta a voi di
sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo
potere. Ma voi, intanto, riceverete la virtù dello Spirito Santo che
verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, e
in Samaria, e sino ai confini della Terra, fondando le adunanze là
dove siano uomini riuniti nel mio Nome; battezzando le genti nel
Nome Santissimo del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, così
come vi ho detto, perché abbiano la Grazia e vivano nel Signore;
predicando il Vangelo a tutte le creature, insegnando ciò che vi ho
insegnato; facendo ciò che vi ho comandato di fare. Ed Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine
del mondo.[2] E ancora, prima di lasciarci, Gesù rassicura: “Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande”,
promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli. Voi
sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza e vi si
giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come
Io ho perseverato sarà dove Io sono. Io ve l’ho detto quale è la via
e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho
camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne
fosse un’altra ve l’avrei insegnata perché ho pietà della vostra
debolezza d’uomini. Ma non ve ne è un’altra… Indicandovela come
unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la
medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l’amore. Sempre
l’amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l’amore. E tutto
l’amore vi darà l’Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio
tanto amore da divenire atleti nella santità.”[3] Non ci resta ora che leggere la descrizione fatta
da Valtorta sull’Ascensione di Gesù: Gesù è in piedi su una larga pietra un poco
sporgente, biancheggiante fra l’erba verde di una radura. Il sole lo
investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come
oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina. Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare
voglia stringersi al seno tutte le moltitudini della Terra che il
suo spirito vede rappresentate in quella turba. La sua indimenticabile, inimitabile voce dà
l’ultimo comando: “Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le
genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo
Amore vi conforti, la sua Luce vi guidi, la sua pace dimori in voi
sino alla vita eterna.” Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più
che sul Tabor. Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già
si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il volto
di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno
potrà mai rendere… il suo ultimo addio alla Madre. Sale, sale… Il
sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche
lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori
il Dio-Uomo che ascende col suo Corpo Santissimo al Cielo, e ne
svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi. Il resto è
un perlaceo ridere di luce. È veramente la Luce che si manifesta per
ciò che è, in quest’ultimo istante come nella notte natalizia.
Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che
supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende
dal Cielo incontro alla Luce che sale… E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, dispare alla vista
degli uomini in questo oceano di splendori…[4]
[1]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 23, 2
[2]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 23, 2
[3]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 23, 2
[4]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 23, 2 3.3 La discesa dello Spirito Santo – La nascita della Chiesa Come promesso, giunge lo Spirito d’Amore. Leggiamo
Valtorta: E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo,
entrare con un ultimo fragore melodico, in forma di globo
lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o
finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di
Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché
Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per
invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un
sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il
Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa,
il Globo Santissimo si scinde in tredici fiamme canore e
lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere
e scende a baciare la fronte di ogni apostolo che esclameranno poco dopo: “Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me”,
dice Giacomo d’Alfeo. “E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad
evangelizzare le genti.”
[1] Proprio come aveva chiesto Gesù prima di ascendere
al cielo: E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato
ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte
le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo”. (Mt. 28,18-20) La Chiesa, fondata da Gesù, diviene così realtà
d’amore. Leggiamo la Ossi: Parabolica, la pienezza dei tempi che ha segnato
il vertice dello splendore della luce nella venuta di Gesù,
culminata con la discesa su Maria Vergine e gli Apostoli dello
Spirito Santo, perché sapienzialmente e nella realtà dell’amore
iniziata fosse l’era della perfezione dell’amore. Gli apostoli furono i beneficiari diretti della
sapienza effusa e della testimonianza che da essi poté derivare, non
come caso limite fine a se stesso ma come inizio della potentissima
azione dello Spirito Santo, diretta a conseguire il recupero delle
anime secondo la prassi che ama sia l’uomo a concedere alla luce di
penetrare nell’unità adempiente alla Volontà Divina. Ecco in pratica la Chiesa, la fisionomia e la
sostanza viva e vera di Gesù fatto uomo.[2] Nasce e prende forma, quindi, il Corpo Mistico di
Cristo. Ma un corpo abbisogna dello stessa carne e dello
stesso sangue, per essere detto realmente tale. Leggiamo quanto
aveva prescritto il Padre a Noè: Soltanto non mangerete la carne con la sua vita,
cioè il suo sangue. (Gen. 9,4) Il significato vero è: se non volete tornare come
animali, come al tempo precedente il diluvio, non comportatevi come
le fiere, che uccidono e sbranano le loro vittime mentre il sangue
caldo ancora cola dalle vene. Dirà secoli dopo il Figlio del Padre: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo”. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro:
“Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue,
non avrete in voi la vita”. (Gv. 6,51-53) Che vuol dire: se volete divenire come Dio dovete
partecipare al suo banchetto, mangiando il suo Corpo e bevendo il
suo Sangue: è il mistero dell’Eucaristia! Follia divina, che per amore di una Madre, Maria,
al fine di ridarle tutti i suoi figli ormai perduti, ti sacrifichi
fino a farti cibo per essi! E del resto non c’era altra via, come dice
chiaramente S. Paolo:
Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose
vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non
esiste perdono. (Eb. 9,22) Per questo Gesù, Figlio di Dio, ha sparso per noi
il suo Sangue in un’effusione d’amore, culminata nella
crocifissione… per donarci l’Eucaristia. Come scrive la Ossi: Le premesse del Padre sono costituite dall’offerta
dell’assoluto amore, che rende l’uomo non solo partecipe, ma parte
viva ed integrante le cellule stesse della luce divina. Come è possibile? direte voi. Ebbene Io, Gesù, Signore Dio vostro, affermo,
richiamandovi alla testimonianza del Tabor, che ciò è realtà
deificante la natura umana che sappia, nel suo elevarsi, alimentare
le cellule fisiche con la potenza dell’azione transustanziatrice
dello Spirito Santo.[3]
[1]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 25, 2
[2]
“Carismatologia paleocristiana”, cap. 3,
[3]
“Carismatici petali del mio Cuore”, “Iddio Padre, causa e
potenza d’infinito amore, 1 Terminato il suo compito terreno, Maria lascia la
terra, in quella che a Valtorta lei stessa ha definito l’estasi
delle estasi: Un’estasi fu il concepimento del Figlio mio. Una
più grande estasi il darlo alla luce. L’estasi delle estasi il mio
transito dalla Terra al Cielo. Soltanto durante la Passione nessuna
estasi rese sopportabile l’atroce mio soffrire.[1] E ancora Maria, sempre a Valtorta: Io morii? Sì, se si vuol chiamare morte la
separazione della parte eletta dello spirito dal corpo. No, se per
morte si intende la separazione dell’anima vivificante dal corpo, la
corruzione della materia non più vivificata dall’anima, e prima la
lugubrità del sepolcro, e, per prima tra tutte queste cose, lo
spasimo della morte. Come morii, o meglio: come trapassai dalla Terra
al Cielo, prima con la parte immortale, poscia con quella peribile?
Come era giusto per Colei che non conobbe macchia di colpa.[2] Gesù aggiunge: Ella si era soltanto, per decreto divino, separata
dallo spirito, e con lo stesso, che l’aveva preceduta, si
ricongiunse la sua carne santissima. Invertendo le leggi abituali,
per le quali l’estasi finisce quando cessa il rapimento, ossia
quando lo spirito torna allo stato normale, fu il corpo di Maria che
tornò a riunirsi allo spirito, dopo la lunga sosta sul letto
funebre.[3] Dunque una morte del tutto particolare, come dice
ancora Maria: Ma, a testimonianza del suo primo pensiero
creativo a riguardo dell’uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere,
trapassando senza morte, dal Paradiso terrestre a quello celeste,
nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e
corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.[4] E ancora, scrive sempre la Valtorta: Maria non fu giudicata. Era l’Innocente. Non
soggetta a giudizio né a morte qual voi l’avete. Maria non tornò
polvere nella sua carne immacolata quanto l’anima e fatta
incorruttibile per aver portato il Figlio di Dio e dell’Uomo. In
corpo ed anima fu assunta al Cielo dagli Angeli. E neppure nell’ora
del trapasso l’anima si separò totalmente, ma intellettualmente e
completamente assurse, non al terzo ma al Cielo supremo ed empireo,
e adorò, mentre ugualmente lo Spirito Uno e Trino non lasciò il suo
dolce verginale tabernacolo dove aveva riposo. Maria è in Cielo in corpo ed anima, viva come era
in Terra, beata come Lei può esserlo, in Cielo. E Dio, che inabitò
in Lei sulla Terra, inabita in Lei in Cielo. Nulla è mutato. Messa
al centro del divino Fuoco, che su Lei converge i suoi ardenti
amori, Ella eternamente ci dice: “Ecco l’Ancella, o Dio” e ci apre
il suo cuore e ci accoglie in un mistero d’amore ineffabile.[5]
[1]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 37,
[2]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 37, 1
[3]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 37,
[4]
“Il poema dell’uomo-Dio”, vol. 10, cap. 37, dicembre 1943,
Maria Valtorta
[5]
“Lezioni sull’epistola di Paolo ai Romani”, 2/2/1948, Maria
Valtorta Leggiamo la Ossi: La carismatologia paleocristiana è simultanea e
diretta corrispondenza alla Volontà di Dio, nel clima odoroso del
sangue dei martiri. I conoscitori delle più ardite, gloriose pagine
del martirio dovuto alla persecuzione, vivono la certezza
dell’irruenza carismatica dello Spirito Santo nell’azione propria di
saper morire, quale esaltante possibilità di donare il dono della
vita nella certezza di vivere già la vera vita in Cristo Gesù,
Amore, Redentore. Il fondamento specifico pone le radici nel
Sacrificio di Gesù, apostolicamente continuativo in coloro che lo
amano e che lo seguono ogni giorno in santità e giustizia. Nella sua attività specifica lo Spirito Santo
annovera la compartecipazione diretta alla corredenzione, altissimo
atto di sublimazione dell’intendimento umano di rendersi partecipe
del profondo mistero dell’Amore Divino. Innumerevoli sono le pagine che richiamano alla
memoria la seraficità di un tempo di passione innata basata sulla
misteriosa forza dello Spirito Santo, orientatore divino di ogni
consiglio. Pagine consapevolmente risolte con la vita donata
a Dio nell’innegabilità di una sostanza che va al di là di ogni
faceta aspettativa. È instaurazione che nella costanza trova la
dignità dei cuori intangibilmente espressa, se non col martirio. Il ricorso al martirio non è Volontà Divina, ma è
la riprova di quanto la volontà umana è forte se s’innesta
nell’Amore Divino. La persecuzione è in ogni caso la più abbietta
manifestazione del male, perché implica in sé tutta la malvagità
della rabbia infernale contro Dio. La persecuzione ha mille varianti e sfumature, ma
contrariamente alle aspettative del male ha il potere di evidenziare
la potenza di Dio nei suoi martiri, quale corona d’eterna gloria. Il sangue dei martiri è potenza rianimatrice dei
figli di Dio, atta a riconquistare a lui anche i cuori più lontani e
tormentati dalla presunzione del male di poter estromettere Dio da
ciò che è suo stesso Corpo.[1] È col sangue dei martiri che viene cementata la
Gerusalemme celeste! “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste.” (Mt. 5,48) Ma chi ha visto il Padre? Dice Gesù a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi
dire: Mostraci il Padre?” (Gv. 14,9) Ecco dunque la meta, il fine ultimo, la santità
agognata: essere come Gesù per essere perfetti come il Padre, ad
opera dello Spirito Santo. Ed è la lotta contro il demonio, la carne, le
tentazioni terrene, per salire la via che porta fino in cima al
Calvario. Leggiamo la Ossi: Esce così dal deserto l’anima, che si è lasciata
purificare dal sole cocente e dalla vittoria sul serpeggiare della
tentazione. È così che l’anima si fa materna, caritatevole,
disponibile e, come Maria, pronuncia il suo “sì” che la fonde a me
nel cammino dell’esperienza viva del mio martirio spirituale e
fisico; l’anima va su, su, sino al Calvario, per assaporare la
comunione con me di cosa significhi morire per amore.[1] Splendido è il passo di Valtorta che descrive la
stigmatizzazione di San Francesco:
In alto
il più puro cielo di settembre, ridente in un’aurora soavissima. In
basso un breve pianoro fra scoscendere di coste montane molto alte,
molto selvose, molto rocciose. Un breve pianoro dall’erbetta corta e
smeraldina, ancor tutta lucida per il pianto della rugiada, ma già
prossima a scintillare di gemmeo riso per il bacio del sole.
In alto,
sul puro cielo così azzurro e soave, fisso un fiammeggiante
personaggio che non pare fatto che di incandescente fuoco. Un fuoco
il cui folgoreggiare è più vivo di quello del sole che sbuca da
dietro una giogaia selvosa con un fasto di raggi e di splendori per
cui tutto si accende di letizia.
Questo
essere di fuoco è vestito di penne. Mi spiego. Pare un angelo perché
due immense ali lo tengono sospeso e fisso sul cobalto immateriale
del cielo settembrino, due immense ali aperte che stagliano una
traversa di croce a cui fa sostegno il corpo splendente. Due immense
ali che sono candore di incandescenza aperte sul rutilare del
l’incandescenza del corpo vestito di altre ali che tutto lo
fasciano, raccolte come sono con le loro soprannaturali penne di
perla, diamante e argento puro, intorno alla persona. Pare che anche
il capo sia fasciato in questa singolare veste piumosa. Perché io
non lo vedo. Vedo solo, là dove dovrebbe essere quel volto serafico,
un trapelare di così vivo splendore che ne resto come abbacinata.
Devo pensare ai fulgori più vivi che ho visto nelle paradisiache
visioni per trovare un qualcosa di simile. Ma questo è ancor più
vivo. La croce di piume accese sta fissa sul cielo col suo mistero.
In
basso, un macilento fraticello, che riconosco per il Padre mio
serafico, prega a ginocchi sull’erba, poco lungi da una grotta nuda,
scabra, paurosa come balza d’inferno. Il corpo distrutto pare non
abiti nella tonaca grave e tanto larga rispetto alle membra. Il
collo esce, di un pallido bruno, dalla cocolla bigiognola, un colore
fra quello della cenere e quello di certe sabbie lievemente
giallognole. Le mani escono coi loro polsi sottili dalle ampie
maniche e si tendono in preghiera, a palme volte all’esterno e
alzate come nel “Dominus vobiscum”. Due mani brunette un tempo, ora
giallognole, di persona sofferente, e macilente. li viso è un
sottile volto che pare scolpito nell’avorio vecchio, non bello né
regolare, ma che ha una sua particolare bellezza fatta di
spiritualità. .
Gli
occhi castani sono bellissimi. Ma non guardano in alto. Guardano,
ben aperti e fissi, le cose della terra. Ma non credo che vedano.
Stanno aperti, posati sull’erba rugiadosa; pare studino il ricamo
bigiognolo di un cardo selvatico e quello piumoso di un finocchio
selvatico, che la rugiada ha tramutato in una verde “aigrette”
diamantata. Ma sono certa che non vede niente. Neppure il pettirosso
che scende con un cinguettio a cercare sull’erba qualche piccolo
seme. Prega. Gli occhi sono aperti. Ma il suo sguardo non va al di
fuori, ma al di dentro di sé.
Come e
perché e quando si accorga della croce viva che è fissa nel cielo,
non so. L’abbia sentita per attrazione o l’abbia vista per chiamata
interna, non io. So che alza il volto e cerca con l’occhio che ora
si anima di interesse, cosa che conferma la mia persuasione della
sua precedente assenza di vista per l’esterno.
Lo
sguardo del mio Padre serafico incontra la grande, viva,
fiammeggiante croce. Un attimo di stupore. Poi un grido: “Signore
mio!”, e Francesco ricade un poco sui calcagni rimanendo estatico,
col volto levato, sorridente, piangente le due prime lacrime della
beatitudine, con le braccia più aperte...
Ed ecco
che il Serafino muove la sua splendente, misteriosa figura. Scende.
Si avvicina. Non viene sulla terra. No. E’ ancora molto in alto. Ma
non più come era prima. A mezza via fra cielo e terra. E la terra si
fa ancor più luminosa per questo vivo sole che in questa beata
aurora si unisce e soverchia l’altro d’ogni giorno. Nello scendere,
ad ali tese sempre a croce, fendendo l’aria non per moto di penne ma
per proprio peso, dà un suono di paradiso. Qualcosa che nessuno
strumento umano può dare. Penso e ricordo il suono del globo di
Fuoco della Pentecoste...
Ed ora
ecco che, mentre Francesco più ride, e piange, e splende, nella
gioia estatica, il Serafino apre le due ali - ora capisco bene che
sono ali - che stanno verso il mezzo della croce. E appaiono
inchiodate sul legno le santissime piante del mio Signore, e le sue
lunghe gambe, di uno splendore, in questa visione, così vivo come lo
hanno le sue membra glorificate in Paradiso. E poi si aprono due
altre ali, proprio al sommo della croce. E la vista mia, e credo
anche quella di Francesco, per quanto egli sia sovvenuto da grazia
divina, ne hanno sofferenza di gioia per il vivo abbaglio.
Ecco il
tronco del Salvatore che palpita nel respiro... ed ecco, oh! ecco il
Fuoco che solo una grazia permette fissare, ecco il Fuoco del suo
viso che appare quando il sudario delle scintillanti penne è tutto
aperto. Fuoco di tutti i vulcani e astri e fiamme, circondato da sei
sublimi ali di perle, argento e diamante, sarebbe ancor poca luce
rispetto a questo indescrivibile, inconcepibile splendere
dell’Umanità Ss. del Redentore confitto sul suo patibolo.
Il
volto, poi, e i cinque fori delle piaghe, non trovano riscontro in
nessun paragone per esser descritti. Penso... penso alle cose più
splendenti... penso persino alla luce misteriosa che emana il radio.
Ma, se quanto ho letto è vero, questa luce è viva ma di un
argento-blu di stella, mentre questa è condensazione di sole
moltiplicata per un numero incalcolabile di volte.
La vetta
della Verna deve apparire come se mille vulcani si fossero aperti
intorno ad essa a farle corona. L’aria, per la luce e il calore, che
arde e non brucia, che emana dal mio Signore crocifisso, trema con
onde percepibili all’occhio, e steli e fronde sembrano irreali tanto
la luce penetra anche l’opacità dei corpi e li fa luce...
Io non
mi vedo. Ma penso che al riflesso di quella luce la mia povera
persona deve apparire come fosforescente. Francesco, poi, su cui la
luce si riversa e lo investe e penetra, non pare più corpo umano. Ma
un minore serafino, fratello di quello che ha dato le sue ali a
servizio del Redentore.
Ora è
quasi riverso, Francesco, tanto è piegato indietro, a braccia
completamente aperte, sotto il suo Sole Iddio Crocifisso! E’
immateriale all’aspetto tanto la luce e la gioia lo penetrano. Non
parla, non respira, materialmente. Parrebbe un morto glorificato se
non fosse in quella posa che richiede almeno un minimo di vita per
sussistere. Le lacrime che scendono, e forse servono a temperare
l’umana arsura di questa mistica fiamma, splendono come rivi di
diamante sulle guance magre.
Io non
odo nessuna parola né di Francesco né di Gesù. Un silenzio assoluto,
profondo, attonito. Una pausa nel mondo che è intorno al mistero.
Per non turbare. Per non profanare questo sacro silenzio dove un Dio
si comunica al suo benedetto. Contrariamente a quanto sarebbe da
supporsi, gli uccelli non si esaltano a più acuti trilli e lieti
voli per questa festa di luce, non danzano farfalle o libellule, non
guizzano lucertole e ramarri. Tutto è fermo in un’attesa in cui
sento l’adorazione degli esseri verso Colui per cui furono fatti.
Non c’è più neppure quella brezza lieve che faceva rumor di sospiro
fra le fronde. Più neppure quel suono arpeggiato e lento di un’acqua
nascosta in qualche cavo di pietra, e che prima gettava, come perle
rare, dentro per dentro, le sue note su scala tonata. Niente. Vi è
l’Amore. E basta. Gesù guarda e ride al suo Francesco. Francesco
guarda e ride al suo Gesù... Basta.
Ma ora
ecco che il Volto glorificato, tanto luminoso da parere quasi a
linee di luce come è quello del Padre Eterno, si materializza un
poco. Gli occhi prendono quel fulgore di zaffiro acceso di quando
opera miracolo. Le linee divengono severe, imponenti, come sempre in
quelle ore, imperiose, direi. Un comando del Verbo deve andare alla
sua Carne; e la Carne obbedisce. E dalle cinque piaghe saetta cinque
strali, cinque piccoli fulmini, dovrei dire, che scendono senza
zigzagare nell’aria ma a perpendicolo, velocissimi, cinque aghi di
luce insostenibile e che trapassano Francesco...
Non
vedo, è naturale, le piante, coperte dalla veste e dalle membra, e
il costato coperto dalla tonaca. Ma le mani le vedo. E vedo che,
dopo che le punte infuocate sono entrate e trapassate - io sono come
dietro Francesco - la luce, che è dall’altra parte, verso il palmo,
passa dal foro sul dorso. Paiono due occhielli aperti nel metacarpo
e dai quali scendono due fili di sangue che scorrono lenti giù per i
polsi, sugli avambracci, sotto le maniche.
Francesco non ha che un sospiro cosi profondo che mi ricorda quello
estremo dei morenti. Ma non cade. Resta come era ancor per qualche
tempo. Sinché il Serafino, di cui mai ho visto il volto - ho visto
di lui solo le sei ali - ridistende queste sublimi ali come velo sul
Corpo santissimo e lo nasconde, e con le due ali iniziali risale,
sempre più oltre, nel cielo, e la luce diminuisce rimanendo infine
solo quella di un sereno mattino solare. E il serafino scompare
oltre il cobalto del cielo che lo inghiotte e si chiude sul mistero
che è sceso a far beato un figlio di Dio e che ora è risalito al suo
regno.
Allora
Francesco sente il dolore delle ferite e con un gemito, senza
alzarsi in piedi, passa dalla posizione di prima a sedersi in terra.
E si guarda le mani... e si scopre i piedi. E socchiude la veste sul
petto. Cinque rivoli di sangue e cinque tagli sono il ricordo del
bacio di Dio. E Francesco si bacia le mani e si carezza costato e
piange, piangendo e mormorando: “Oh, mio Gesù! Mio Gesù! Che amore!
Che amore, Gesù!... Gesù!... Gesù…”.
E tenta
porsi in piedi, puntando i pugni al suolo, e vi riesce con dolore
delle palme e delle piante, e si avvia, un poco barcollante come chi
è ferito e non può appoggiarsi al suolo e vacilla per dolore e
debolezza di svenamento, verso il suo speco, e cade a ginocchi su un
sasso, con la fronte contro una croce di solo legno, due rami legati
insieme, e là riguarda le sue mani sulle quali pare formarsi una
testa di chiodo che penetra e trapassa, e piange. Piange d’amore,
battendosi il petto e dicendo: “Gesù, mio Re soave! Che m’hai Tu
fatto? Non per il dolore, ma per l’altrui lode mi è troppo questo
tuo dono! Perché a me, Signore, a me indegno e povero? Le tue
piaghe! Oh! Gesù!….[2] È San Francesco l’esempio più alto di “Alter
Christus”, come tutti coloro che si sono lasciati modellare dallo
Spirito Santo a immagine e somiglianza di Gesù, che dice a Valtorta:
Sovente
Egli trae i santificatori, coloro che trascinano con l’azione e
l’esempio anime innumerevoli a Dio, da quelli che sono “i minimi”
nel Mistico Corpo, senza gradi né ordinazioni, ma ricchi in
giustizia perché identificatisi al Cristo in ogni loro azione.[3]
[1]
“Gesù Pantocratore”, cap. 21, 2
[2]
“I Quaderni dal
[3]
“I Quaderni dal 1945 al 3.7 La purificazione – Il diluvio di fuoco Alla morte di papa Giovanni XXIII la Madonna a
Garabandal disse a Conchita: il papa è morto. Ora ne restano solo
tre. Dopo il terzo papa vi sarà la fine dei tempi, da non confondere
con la fine del mondo. Il terzo papa è Giovanni Paolo II. Confermerà la Madonna a don Gobbi il 13 maggio 1991
(Anniversario della prima apparizione a Fatima): [...] Spiritualmente vi sentite molto uniti al mio
Papa Giovanni Paolo II, questo dono prezioso che il mio Cuore
Immacolato vi ha fatto e che , in questi stessi momenti, si trova in
preghiera nella Cova da Iria, per ringraziarmi della materna e
straordinaria protezione che Io gli ho dato, salvandogli la vita
dieci anni fa in piazza S. Pietro. Oggi vi confermo che questo è il
Papa del mio segreto; il Papa di cui ho parlato ai bambini
durante le apparizioni; il Papa del mio amore e del mio dolore. Con
tanto coraggio e con sovrumana fortezza, Egli va in ogni parte del
mondo, non curandosi delle fatiche e dei numerosi pericoli, per
confermare tutti nella fede [...] Quando questo Papa avrà compiuto
il compito che Gesù gli ha affidato ed Io scenderò dal cielo ad
accogliere il suo sacrificio, tutti sarete avvolti da una densa
tenebra di apostasia che sarà allora diventata generale. Rimarrà
fedele solo quel resto che, in questi anni, accogliendo il mio
materno invito, si è lasciato racchiudere dentro il rifugio sicuro
del mio Cuore Immacolato. E sarà questo piccolo resto fedele, da Me
preparato e formato, che avrà il compito di ricevere il Cristo che
tornerà a voi nella gloria, dando così inizio alla nuova era che vi
attende.[1] La Nuova Era che avrà inizio dopo la fine dei
tempi, cioè di un tempo, due tempi e la metà di un tempo in cui la
donna vestita di sole è nascosta nel deserto, di cui parla S.
Giovanni nell’Apocalisse: Ma furono date alla donna le due ali della grande
aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei
per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo
lontano dal serpente. (Ap. 12,14) Come mai si parla di metà di un tempo? Perché dopo
i primi duemila anni di cristianesimo a Roma, avverrà una seconda
Pentecoste in cui la Chiesa sarà riportata a Gerusalemme, all’inizio
del millennio di pace promesso. Ed è perché a metà “settimana” è
anticipata, per i soli eletti di tutti i tempi e di tutte le
nazioni, la seconda venuta di Cristo nella cosiddetta venuta
intermedia. Gli altri, buoni e cattivi, per vedere compiuti i
misteri di Dio e vedere il Cristo giungere sulle nubi, dovranno
attendere la fine del mondo: cioè che abbiano compimento anche i
tempi ultimi! Questo è il motivo per cui le profezie sulla fine
del mondo sembrano confondersi. Dice a proposito Gesù a Valtorta nel
1943: Anche nell’Apocalisse pare che i periodi si
confondano, ma non è così. Sarebbe meglio dire: si riflettono nei
tempi futuri con aspetti sempre più grandiosi. Ora siamo al periodo che Io chiamo: dei precursori
dell’Anticristo. Poi verrà il periodo dell’Anticristo che è il
precursore di Satana. Questo sarà aiutato dalle manifestazioni di
Satana: le due bestie nominate nell’Apocalisse. Sarà un periodo
peggiore dell’attuale. Il Male cresce sempre più. Vinto
l’Anticristo, verrà il periodo di pace per dare tempo agli uomini,
percossi dallo stupore delle sette piaghe e della caduta di
Babilonia, di raccogliersi sotto il segno mio. L’epoca anticristiana
assurgerà alla massima potenza nella sua terza manifestazione, ossia
quando vi sarà l’ultima venuta di Satana.[2] Da tenere ben presente quel: “le profezie si
riflettono nei tempi futuri con aspetti sempre più grandiosi”,
perché le profezie si possono applicare alla battaglia di
Armaghedòn, quella della “fine dei tempi”, che anticipa e si
rifletterà in quella di Gog e Magog, quella della “fine del mondo”,
con intensità crescente. Ricordiamo il “Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno.” (Mt 24,35). Anzi, per certi aspetti alcuni fatti propri della
fine del mondo vengono come anticipati, nel bene e nel male, come lo
è stato per Gesù e per Maria, perseguitati ma ora già gloriosi in
cielo. È il mistero del numero 6 apocalittico che anticipa il 7,
sapendo però che il 7° sigillo contiene anche la 6° tromba!
(Apocalisse 8-1 e 9-13) Per chiarire meglio questi concetti leggiamo il
messaggio della Madonna a don Gobbi: La Massoneria sostituisce Dio con un Idolo
potente, forte, dominatore. Un idolo così potente, da far mettere a
morte tutti coloro che non adorano la statua della bestia. Un idolo
così forte e dominatore da fare sì che tutti, piccoli e grandi,
ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevano un marchio sulla mano
destra o sulla fronte, e che nessuno può comprare o vendere senza
avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo
nome. Questo grande idolo, costruito per essere da tutti adorate e
servito, come vi ho già rivelato, è un falso Cristo e una falsa
Chiesa. Ma quale è il suo nome? Al capitolo 13 dell’Apocalisse è
scritto: -Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero
della bestia: esso rappresenta un nome di un uomo. E tale cifra è
666-. Questo nome è quello dell’Anticristo [...] La statua o
l’idolo, costruito in onore della bestia, per essere adorato da
tutti gli uomini è l’Anticristo. Il numero 333 indica la Divinità...
Il 333 è il numero che indica il mistero di Dio. Colui che vuole
mettersi al di sopra di Dio porta il segno di 666. Il 333, indicato
una volta esprime il mistero dell’unità di Dio; indicato due volte
indica le due nature, quella divina e quella umana unite nella
Persona divina di Gesù Cristo; indicato tre volte indica il mistero
delle Tre Persone divine, cioè esprime il mistero della Santissima
Trinità [...] Il 666 indicato una volta esprime l’anno 666. In
questo periodo storico, l’Anticristo si manifesta attraverso il
fenomeno dell’Islam, che nega direttamente il mistero della divina
Trinità e della divinità di nostro Signore Gesù Cristo. L’islamismo,
con la sua forza militare, si scatena ovunque, distruggendo tutte le
antiche comunità cristiane, invade l’Europa e solo per un mio
materno e straordinario intervento, sollecitato fortemente dal Santo
Padre, non riesce a distruggere completamente la Cristianità. Il
666, indicato due volte esprime l’anno 1332. In questo periodo
storico, l’Anticristo si manifesta con un radicale attacco alla fede
nella Parola di Dio. Attraverso i filosofi, che iniziano a dare
esclusivo valore alla scienza, e poi alla ragione, si tende
gradualmente a costituire unico vero criterio di verità la sola
intelligenza umana...Con la riforma protestante, si rifiuta la
Tradizione come fonte della divina Rivelazione, e si accetta solo la
Sacra Scrittura... Ciascuno è libero di leggere e di comprendere la
sacra Scrittura, secondo la sua personale interpretazione. In questa
maniera la fede nella Parola di Dio viene distrutta... Il 666,
indicato tre volte, esprime l’anno 1998. In questo periodo storico,
la massoneria, aiutata da quella ecclesiastica, riuscirà nel suo
grande intento: costruire un idolo da mettere al posto di Cristo e
della sua Chiesa [...] Siete così giunti al vertice della
purificazione, della grande tribolazione e della apostasia [...]
Coraggio! Siate forti, miei piccoli bambini. A voi tocca il compito,
in questi difficili anni, di restare fedeli a Cristo ed alla sua
Chiesa, sopportando ostilità, lotte e persecuzioni...Tutti vi formo,
vi difendo e vi benedico.[3] Il vero significato di Anticristo è quindi di colui
che abolisce il sacrificio quotidiano, portando l’abominio della
desolazione nel tempio di Dio che è il cuore umano, privandolo cioè
dell’Eucaristia: così ha fatto l’Islam, così la divisione delle
Chiese, così farà ancor più ampiamente l’Anticristo alla fine di
questi tempi, il falso profeta dell’Apocalisse, vinto il quale avrà
termine il primo combattimento escatologico. In senso ancor più
specifico, l’abominio della desolazione lo si ha quando l’uomo
rinnega Dio nel proprio cuore, privando il tempio che è il nostro
corpo della presenza visibile di Dio. In questo senso l’applicazione
delle profezie diviene personalizzata, cioè vale per ogni persona
distintamente. Del resto la morte non è una piccola Apocalisse
personale? La fine della propria vita con la prova finale da
superare? Una fine attende comunque anche questa generazione:
è la fine dell’era del peccato, che si attuerà attraverso la grande
purificazione. Sentiamo Ezechiele: Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra
e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete
purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti
i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno
spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore
di carne. (Ez. 36,25-26) Dice anche Zaccaria: In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per
gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il
peccato e l’impurità. In quel giorno - dice il Signore degli eserciti -
io estirperò dal paese i nomi degli idoli, né più saranno ricordati:
anche i profeti e lo spirito immondo farò sparire dal paese. (Zc.
13,1-2) Leggiamo la Ossi: Esegeticamente viene a verificarsi la
purificazione che segna l’inizio della grande tribolazione. Io, Gesù, sancisco le regolari premesse ad
originare la certezza che coloro che operano nel mio nome, nel
valore eterno del segno della S. Croce, saranno preservati
dall’immensa tragedia.[4] E ancora La purificazione è
il determinarsi di un periodo di sconcertanti eventi che castigano
l’uomo a volere la vita, quella vita che ha sciupato in allegrezze e
indifferenza alla Volontà di Dio. Ordunque sappiate che la purificazione, quale
corredenzione in atto, è palese provvedimento divino che lo Spirito
Santo elargisce per far fronte all’impegno di preparare coloro che
si presteranno quali strumenti d’amore all’aiuto a molti fratelli,
pur vivendo a loro volta il grave corso della persecuzione che avrà
molti martiri nel mio nome.”[5] Sono gli ultimi giorni di questi cieli e questa
terra, in attesa dei “nuovi
cieli e una nuova terra” (2Pt. 3,13), di cui parla S. Pietro: Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli
ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo
le proprie passioni e diranno: “Dov’è la promessa della sua venuta?
Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane
come al principio della creazione. Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli
esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in
mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e
che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua,
perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati
dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio
e della rovina degli empi. (2Pt. 3,3-7) È la caduta di Babilonia annunciata da S. Giovanni: Un secondo angelo lo seguì gridando: “È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha abbeverato tutte le genti col vino del furore della sua fornicazione”. (Ap.
14,8) È, come detto, la fine del primo combattimento
escatologico: Vidi allora la bestia e i re della terra con i
loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto
sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso
profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i
quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e
ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello
stagno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che
usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle
loro carni. (Ap 19,19-21) Scrive la Ossi: Io, Gesù, a voi dico: il volto del mondo si
oscurerà per cause che l’uomo stesso avrà gravemente provocato,
nella accecata ribellione ad un contesto di fame, ingiustizia e
violenza. In demoniaco accendersi delle tensioni mondiali
emergerà il popolo della salvezza, verrà vista la Croce nel cielo da
ogni parte del mondo nel canto osannante di giovani vite, verrà
pietosamente aggredita e annegata nel sangue la certezza della
salvezza, la fede cristiana, per un’ultima testimonianza che possa
salvare coloro che ancora non credono. Sarà il giorno della santa apparizione alle genti
di S. Maria delle vittorie, che aprirà grandi speranze d’amore, di
nuovo soffocate da ingiustizia e morte. Soffocato amore ardirà la donazione della salvezza
alle forze imperanti del male, ma solo distruzione e morte sarà la
risposta. Risposta coinvolgente l’umanità in un immenso rogo, che a
risollevare i cuori vedrà cieca reazione. Io, Gesù, avrò, nel nero furore degli eventi la
purificazione totale dal peccato, come grande fornace che fonde le
scorie per ridonare l’essenza del metallo fuso solo con la fiamma
del mio amore. Sosterrete in giorni tristi l’avvicinarsi del
pericolo, ne vivrete la furia che oscurerà la terra per tre giorni e
per tre notti, dopo di che avrete la pace.[6] E chi si salverà? Sappiamo che un piccolo resto è
riservato al Signore, come scrive S. Giovanni all’angelo della
Chiesa di Filadelfia: Poiché hai osservato con costanza la mia parola,
anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per venire
sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra.
(Ap. 3,10) Sono i 144.000 segnati col Sangue dell’Agnello: Vidi poi un altro angelo che saliva dall’oriente e
aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro
angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e
il mare: “Non devastate né la terra, né il mare, né le
piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla
fronte dei suoi servi”. Poi udii il numero di coloro che furon segnati con
il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei
figli d’Israele. (Ap. 7,2-4) Dice Gesù a Valtorta: È il caso di ripetere: “Satana ha chiesto di
vagliarvi”. E, dal vaglio, risulta che la corruzione è come nei
tempi del diluvio, aggravata dal fatto che voi avete avuto il Cristo
e la sua Chiesa, mentre ai tempi di Noè ciò non era. L’ho già detto e lo ripeto: Questa è lotta fra
Cielo e inferno. Voi non siete che un bugiardo paravento. Dietro le
vostre schiere battagliano angeli e demoni. Dietro i vostri pretesti
è la ragione vera: la lotta di Satana contro Cristo. Questa è una delle prime selezioni dell’umanità,
che si avvicina alla sua ora ultima, per separare la messe degli
eletti dalla messe dei reprobi. Ma purtroppo la messe degli eletti è
piccola rispetto all’altra.
[7] Ma se al tempo di Noè era possibile costruire
un’arca di legno, ora dove troverà riparo questo piccolo resto? Leggiamo Valtorta: L’ora di Maria. Quest’ora. L’arca di Noè non salvò tutti gli uomini, ma
coloro fra gli uomini che Dio trovò giusti al suo cospetto. Anche
nell’ora attuale, ora che sorge e dovrà scorrere tutta, e più
inoltrerà e più sarà cupa di nembi, l’Arca di Dio non potrà salvare
tutti gli uomini, ma perché gli uomini, molti uomini, non vorranno
salvarsi, trovare salute per mezzo dell’Arca di Dio. L’arcobaleno dopo il diluvio fu visto dai soli
giusti rimasti vivi sulla Terra. Ma nell’ora presente, invece,
l’arcobaleno, il segno di pace, Maria, in un sovrabbondare di
misericordia sarà visto da molti che giusti non sono. La sua voce,
il suo profumo, i suoi prodigi, saranno noti a giusti e a peccatori,
e beati quelli, fra questi ultimi, che, come per l’Arcobaleno di Dio
l’ira di Dio non si scatena, così per esso alla giustizia, alla fede
nel Gesù in cui è salvezza, si volgeranno.[8] E ancora dice Gesù a Valtorta: Prima ero Io che ero ponte fra il mondo e il
Cielo. Ma veramente, davanti alla vostra pertinacia nel Male, il
Cristo si ritira come un tempo da Gerusalemme, poiché l’ora non è
ancora venuta e il Cristo, in attesa dell’ora, vi lascia al vostro
Male perché lo compiate. Ora, unico ponte resta Maria. Ma se dispregiate
Essa pure, sarete schiacciati. Non permetto sia vilipesa Colei in
cui lo Spirito Santo discese per generare Me, Figlio di Dio e
Salvatore del mondo.[9]
[1]
“
[2]
“I Quaderni dal
[3]
“
[4]
“Relazioni predittive”, “Gesù, lacerante vibrazione del
cuore”, 2/2/1982, A.M. Ossi
[5]
“Relazioni predittive”, “La purificazione”, 2
[6]
“Relazioni predittive”, “Fine del mondo e salvezza
universale”, 20/3/1980, A.M. Ossi
[7]
“I Quaderni dal
[8]
“Lezioni sull’epistola di Paolo ai Romani”, 14 /2/1948,
Maria Valtorta
[9]
“I Quaderni dal
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